LA LEGGENDA DEI MAGI E LA GENESI DI CAMMINACAMMINA

Le figure dei re magi, connesse al magico rituale del presepio costruito in casa, avevano colpito l'immaginario di Olmi fin da bambino; in mezzo a statuette dalle fisionomie familiari (pastori, lavandaie, calzolai...).....

Cian Ehrismann

4/17/202419 min read

Olmi e i magi

Le figure dei re magi, connesse al magico rituale del presepio costruito in casa, avevano colpito l'immaginario di Olmi fin da bambino; in mezzo a statuette dalle fisionomie familiari (pastori, lavandaie, calzolai...), vi erano tre sagome misteriose: «A cavallo di animali esotici, inconsueti [...], queste statuine erano per di più incoronate: chiara distinzione di una categoria sociale.» Le tre figure paludate, col loro corteggio di scorte, dromedari, fagotti, appartenevano a un ceto palesemente diverso, non solo agli altri personaggi del presepio, ma anche alla famiglia di Olmi, figlio di operai di origine contadina. Ad aumentare le antipatie del giovane Olmi, vi era la tradizione di far avanzare i re magi ogni giorno, fino a farli arrivare davanti alla capanna per l'Epifania. «Il loro arrivo coincideva con la fine del presepe: il giorno dopo si smontava tutto e finiva la bella favola.»

Il progetto di un film sui magi e sul loro viaggio nacque verso la metà degli anni Sessanta. Erano anni in cui Olmi, uomo profondamente religioso, attraversava una crisi che lo avrebbe allontanato sempre di più dalle istituzioni della Chiesa: «La crisi del cittadino di un mondo morale e spirituale che non si adattava più alle strutture esistenti; e il conseguente interesse per tutto ciò che stava alle radici di quel mondo, per esempio le Scritture...»

Olmi presentò il progetto all'Italnoleggio, nel 1968. Era un momento molto particolare della storia italiana: un grande movimento, tensioni sociali e politiche, trasformazioni ideologiche. Olmi, lontano da ogni forma di ideologia e da ogni schieramento politico, rimase ai margini del movimento, vivendolo in maniera particolare:

Il '68 lo vissi come un momento di massimo conformismo, mi colpì negativamente il balletto degli intellettuali, sia a favore che contro, che nella grande maggioranza non erano spinti dalla volontà di capire ma dall'ansia di rimanere nella corrente. E i Re Magi sono degli intellettuali del loro tempo, che nonostante siano stati segnati dal destino, non capiscono la carica rivoluzionaria di ciò che accade davanti a loro, chiudono gli occhi per paura di vedere, di perdere i loro privilegi, di mettersi in crisi.

La casa di produzione dette parere favorevole; ma Olmi, tra i suoi vari “progetti nel cassetto” scelse di girare Un certo giorno, accantonando l'idea del film sui magi per ben dieci anni. La riprese nell'ottobre del 1978 iniziando ad approfondire l'argomento attraverso numerose letture, in particolare la narrazione di Giovanni di Hildesheim e lo studio di Ugo Monneret de Villard. Per meglio comprendere il tipo di intervento operato da Olmi sulla tradizione, è necessaria una breve parentesi sull'intricata rete di racconti e leggende relativi ai magi e al loro viaggio in cerca del Salvatore.

I Magi, storia e leggenda
Il Vangelo secondo Matteo

La scena dell'adorazione dei re magi al bambino Gesù è indissolubilmente legata, nell'immaginario popolare, alla nascita del Cristo. La tradizione accoglie elementi in gran parte estranei alle Sacre Scritture e derivati da fonti “apocrife”; per questo la leggenda si è modificata nel tempo, soggiacendo a una serie di stratificazioni e obliterazioni.

Tra gli evangelisti, l'unico a parlare dei Magi è Matteo. I vangeli di Marco, Matteo e Luca sono detti “sinottici”, perché presentano una visione d'insieme della vita di Gesù sostanzialmente concorde. È opinione diffusa che essi siano derivati da un unico testo, a noi non pervenuto, che l'apostolo Matteo avrebbe redatto in aramaico, secondo l'uso del tempo; da esso sarebbe derivato Marco, che a sua volta avrebbe interferito sulla redazione del Matteo greco e determinato quella di Luca. Oltre a Matteo, solo Luca parla dell'infanzia di Gesù, ma nel suo Vangelo non vi è alcun accenno alla venuta dei Magi; la nascita del Salvatore è annunciata da un angelo ad alcuni pastori della regione (Luca 2,8-20) che corrono a Betlemme per vedere il Bambino. Nella tradizione l'episodio dei pastori descritto da Luca e quello dei magi descritto da Matteo vengono sentiti come complementari e paralleli e assimilati in un'unica scena di adorazione.

Ecco il racconto di Matteo:

Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente e domandavano: «Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo». All'udire quelle parole, il re Erode restò turbato, e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s'informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:

E tu Betlemme, terra di Giuda,

non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda:

da te uscirà infatti un capo

che pascerà il mio popolo, Israele.»

Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme esortandoli: «Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo.»

Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese.

Nel testo di Matteo non vengono specificati né il numero dei magi, né i loro paesi d'origine, né i loro nomi; l'avviso di «non tornare da Erode» viene recato loro genericamente «in sogno», mentre nella tradizione tale annuncio viene fatto da un angelo, assimilandolo all'annuncio fatto a Giuseppe per sottrarre il bambino Gesù alla follia di Erode; si dice di una stella che essi avrebbero veduto e identificato con quella del «re dei Giudei», ma non viene specificato niente di preciso al riguardo. Inoltre non si dice niente di loro; evidentemente era scontata l'identificazione dei magi con ben precise figure sociali dell'epoca; ma chi erano dunque i magi?

Astrologia, culto del fuoco e attesa del Salvatore

Il greco màgos, traduzione del persiano magû, indicava la casta dei sacerdoti mazdaici, i più diretti discepoli di Zarathustra (Zoroastro in greco), prosecutori delle sue pratiche ascetiche; in origine essi erano probabilmente una tribù entro l'etnia dei Medi che si convertì al mazdaismo dinamizzandolo con elementi della propria cultura. Nelle Gatha (i “Canti”), la parte più antica dell'Avesta (testo fondamentale dello zoroastrismo), la parola maga indica il “dono”, sia nel senso di offerta, sacrificio, sia in quello di dono del sapere e della divina conoscenza; magavan indica il sacerdote, ovvero colui che partecipa del dono, per mezzo del quale può ottenere una conoscenza fuori dall'ordinario, un particolare stato di coscienza e di esperienza mistica. Tali “illuminazioni” venivano raggiunte attraverso la meditazione teologica dinanzi al fuoco, la forma più alta dello spiritualismo zoroastriano, ed aiutate dall'ingestione dell'haoma, la bevanda sacra, simile al soma indiano, un allucinogeno derivato probabilmente dall'amanita muscaria.

Nel corso del IV secolo a.C. i magi si sparsero per tutta l'Asia Minore attraverso la Caldea, terra nella quale i loro riti e le loro credenze si caricarono degli elementi astrali e del sapere astrologico tipici delle culture mesopotamiche. In Persia il loro culto del fuoco si arricchì di elementi mithraici (Mithra = Sole, dio della Luce). Essi arrivarono a subordinare l'originale dualismo mazdaico (luce-tenebra, materia-spirito) a un principio originario, Zurvan, il Tempo Increato; la concezione era quella di un tempo che ciclicamente si rinnova, in un cerchio continuo di decadenza e di rigenerazione; dal moto degli astri si potevano cogliere i segni di tale alternanza. Tale concezione condusse il mazdaismo zurvanita ad una conseguenza messianica: ogni era di rigenerazione era guidata da un Soccorritore divino, nato sotto una particolare congiuntura astrale e protetto dalle stelle. In particolare vi era l'attesa di tre successive figure di Salvatori, l'ultimo dei quali, il Saoshyant, il Soccorritore, sarebbe nato da una vergine discendente di Zarathustra e avrebbe portato alla resurrezione universale e all'immortalità umana.

L'attesa di un Salvatore accomuna la religione ebraica con le tradizioni iraniche e persino indiane (attesa del nuovo Budda). Le predizioni sulla nascita del Cristo sono attribuite a Zoroastro, al profeta Daniele, ad alcune Sibille e sono persino rintracciabili nei testi ermetici che riportano la speculazione esoterica di Ermete Trismegisto. L'adorazione del bambino da parte dei sapienti venuti da lontano sottolinea come la venuta del Cristo sulla terra sia segno di speranza di riscatto non solo per gli ebrei, ma per tutti i popoli.

I Vangeli Apocrifi

Il culto dei magi si diffuse ben presto in tutta l'area cristiana. Dal III secolo la loro presenza si affermò sempre di più nelle celebrazioni liturgiche, specie nelle Chiese orientali, dove il Natale veniva festeggiato il 6 gennaio. Dalla metà del IV secolo, a Roma, si affermò l'uso di far coincidere il Natale con la festa solstiziale del Sol comes invictus, celebrata il 25 dicembre. Il 6 gennaio rimase quindi nella tradizione romana come la festa della regalità del fanciullo e quindi dei magi. Tale culto si arricchì ben presto di nuove e diverse tradizioni, estranee al racconto evangelico e di cui possiamo trovare testimonianza nelle numerose fonti apocrife scritte nei primi secoli di diffusione del Cristianesimo.

La più antica di tali fonti sembra essere quello che dagli occidentali viene chiamato Protovangelo, attribuito a Giacomo il Minore, “fratello” di Gesù; il testo è in realtà composto da brani appartenenti ad epoche diverse ma comunque collocabili tra il II e il IV secolo. Esso è considerato più un testo extracanonico che un vero apocrifo, avendo la Chiesa accettato tacitamente come dati storici molti dei particolari in esso narrati. Il testo infatti ha circolato moltissimo fin dall'antichità soprattutto nelle Chiese orientali dove rappresenta un importante lettura sul piano liturgico. Il Protovangelo non offre dati nuovi, ma un approfondimento di quelli su cui Matteo basa il suo racconto. Sull'apparizione della stella i Magi raccontano:

«Abbiamo visto una stella di straordinaria grandezza che brillava tra le altre stelle e le oscurava al punto che neppure più si vedevano; così abbiamo capito che era nato un re per Israele e siamo venuti per adorarlo.»

Anziché genericamente in sogno, i Magi vengono avvertiti di non tornare in Giudea da un angelo. Altro particolare interessante del Protovangelo è la collocazione della scena dell'adorazione in una grotta , anziché in una comune abitazione.

Dal Protovangelo di Giacomo deriva un testo in aramaico relativamente tardivo: il Vangelo dello Pseudo-Matteo, databile tra il VI e l'VIII secolo e tradotto in latino in epoca carolingia. In esso si afferma che i magi giungono al cospetto di Gesù circa due anni dopo la sua nascita, il che giustificherebbe la decisione di Erode di far uccidere tutti i fanciulli dai due anni in giù. I magi visitano Gesù e Maria nella loro casa; essi offrono una moneta d'oro ciascuno e poi ognuno un dono distinto: oro, incenso e mirra; con ciò, anche se il testo non lo dice espressamente, il numero dei magi è fissato a tre. Dallo Pseudo-Matteo deriva l'immagine classica dei nostri presepi: Gesù, infatti, nato in una grotta, viene trasferito dopo tre giorni in una stalla; Maria lo depone in una mangiatoia e l'asino e il bue lo adorano.

Dal VI secolo circolò invece il Vangelo arabo-siriaco dell'Infanzia, redatto in due lingue distinte ma nella medesima versione. Esso rammenta la profezia di Zarathustra sulla nascita del Bambino e afferma che per questo i Magi si misero in viaggio «dall'Oriente». Essi offrirono i loro doni tradizionali (oro, incenso e mirra) e la Vergine dette loro in cambio una fascia del bambino. Essi si rimisero poi in viaggio seguendo un Angelo (sotto forma di stella). Una volta tornati in patria, essi furono accolti con onore «dai loro re e principi». Si decise di onorare la reliquia secondo i loro riti tradizionali di adoratori del fuoco; la fascia fu gettata tra le fiamme, ma rimase intatta ed essi allora la adorarono e la riposero tra i loro tesori. Altre tardive versioni asiatiche porranno al posto della fascia un pane, o una pietra.

La tarda elaborazione del testo siriaco dette il Vangelo armeno dell'Infanzia. Esso pone la nascita di Gesù il 6 gennaio e l'arrivo dei magi il 9. I «Magi d'Oriente» sono qui definitivamente 3 e sono fratelli: Melkon, re dei persiani, Gaspar, re degli indiani e Balthasar, re degli arabi. Ai loro ordini, dodici capitani guidavano dodicimila cavalieri. Essi erano partiti dalla loro patria esattamente nove mesi prima, comandati dallo Spirito Santo, e si erano mossi separatamente per poi unirsi in un certo punto. Balthasar portava in dono oro, argento, smeraldi, pietre preziose, perle. Gaspar recava mirra, nardo, cannella, cinnamono, incenso e altri profumi. Melkon portava mirra, aloe, mussolina, porpora, pezze di lino e «i libri scritti e sigillati dalle mani di Dio» vale a dire la Rivelazione di Seth, testo d'influenza gnostica in cui è contenuto il racconto della futura nascita del Salvatore. Erode li vuole incarcerare finché non gli abbiano mostrato tutto quel che portano ma un terremoto scuote il palazzo e Erode li libera.

Le leggende orientali

L'elaborazione orientale della leggenda dei Magi era andata sviluppandosi, soprattutto tra VI e IX secolo circa, in un'area che potremmo comprendere tra Siria, Armenia e Caldea e che era non solo una delle fondamentali della vita cristiana del tempo, ma anche un'area in cui il cristianesimo era entrato e restato a lungo in contatto con vive e profonde correnti del pensiero gnostico influenzate dal mazdaismo. Contemporaneamente alla diffusione dei vari testi apocrifi, circolavano in quella stessa area scritti leggendari, nati in margine ai racconti evangelici.

La più antica tra le leggende orientali è quella contenuta in uno scritto siriaco redatto in Mesopotamia fra V e VI secolo, il Libro della Caverna dei Tesori che nell'VIII secolo ha avuto diversi rifacimenti: il Kitab al-Magall (Libro dei Magi), arabo, il Gadla Amed, etiopico e lo Pseudo-Metodio, rifacimento siriaco tradotto anche in greco e latino. La leggenda narra come i magi avvistarono e riconobbero una stella prodigiosa, apparsa in Oriente due anni prima della nascita di Cristo. La stella racchiudeva in un alone di luce una giovane donna con in grembo un fanciullo incoronato. I magi furono in grado di riconoscere la natura divina della stella poiché «erano soliti cercare nella posizione degli astri i pronostici circa le cose che sarebbero loro accadute.»

Nel Kitab-al-Magall è scritto che «Seth pose il rotolo di pergamena, nel quale egli scrisse il testamento di suo padre Adamo, nella Caverna dei Tesori insieme con i doni provenienti dal paradiso, cioè oro, incenso e mirra, i quali Adamo disse a Seth e ai suoi figli che sarebbero appartenuti ai tre re magi, e che essi (i magi) avrebbero viaggiato con questi doni alla volta del sapiente del mondo, che sarebbe nato in una città chiamata Betlemme, nel territorio di Giuda.» Il testo siriaco originale non contiene alcun riferimento al libro di Seth: in esso i Magi, dopo l'apparizione della stella, trovarono oro, incenso e mirra, depositati nella Caverna dei Tesori da Adamo ed Eva dopo la cacciata dal Paradiso Terrestre. All'inizio del Libro della caverna dei tesori i magi vengono distinti dai re e dai sapienti caldei, ma poi queste tre funzioni vengono riassunte nella loro figura, che si va definendo come quella di «re e magi caldei». Il testo tramanda anche i loro nomi: Hormizd di Makhodzi, re dei persiani, Jazdegerd, re di Saba e Peroz, re di Seba.

Dalla leggenda orientale narrata nel Libro della Caverna dei Tesori dipende anche un altro testo siriaco di grande interesse, la Cronaca pseudoisidoriana meglio conosciuta come Cronaca di Zuqnin. Qui i magi sono dodici, recano tutti nomi di ascendenza persiana e vengono definiti «re e figli di re». Essi conservano con cura, nella Caverna dei Tesori sul Monte delle Vittorie, i libri di Seth, nei quali sono rivelati i misteri occulti tramandati da Adamo, intorno alla maestà di Dio. Giunto il tempo della rivelazione, essi scorgono sul Monte una colonna di luce al sommo della quale sta una stella più splendente del sole. Seguendola essi entrano nella Caverna e qui si manifesta loro il Cristo, e ognuno avrà una visione diversa, «poiché l'unità si manifesta col molteplice e in Lui passato, presente e futuro sono immanenti e già compiuti».

I magi prendono i doni custoditi nella Caverna e la stella li guiderà in un viaggio mirabile, nel corso del quale le montagne si spianano, i fiumi offrono comodi guadi al loro passaggio e vi è grande abbondanza di viveri. In aprile essi arrivano a Gerusalemme e, dopo il consueto incontro con Erode, ripartono per Betlemme, finché giungono alla grotta di Gesù e vedono la colonna di luce fermarsi davanti alla caverna e la stella scendere ed entrare nella caverna insieme a schiere di angeli. I magi depongono i loro doni ai piedi del Bambino ed Egli parla loro, rivelando ancora il suo destino di Salvatore dell'uomo e dà loro i precetti di vita. Al viaggio di ritorno la colonna di luce si ripresenta e di nuovo si ripete il miracolo dell'abbondanza di cibo, che questa volta procura anche, a coloro che ne mangiano, visioni beatifiche. I magi predicano ovunque la “buona novella” finché giunge in Oriente l'apostolo Tommaso che li battezza con l'olio santo.

In relazione con Il libro della caverna dei tesori e quasi un “parallelo occidentale” alla Cronaca di Zuqnin è il cosiddetto Opus imperfectum in Matthaeum, un testo di origine e datazione incerte, che ebbe una discreta influenza in Occidente. Anche qui i magi conservano una scriptura attribuita a Seth, nella quale è profetizzata l'apparizione della stella e vengono date le istruzioni sui doni da portare al Salvatore. Essi compiono ogni anno una ascensione al Mons Victorialis su cui si trovano una grotta e una fonte di acqua purificatrice. Durante uno di questi ritiri annuali essi avvistano finalmente la stella, che ha la forma di un bambino sormontato da una croce. Per quanto rigurda il viaggio, l'Opus imperfectum rimanda al Vangelo secondo Matteo; il racconto riprende allorché, dopo la morte e la Resurrezione di Cristo, l'apostolo Tommaso giunge nella lontana terra dei magi, sancendo col battesimo il loro ingresso ufficiale nel seno della Chiesa cristiana. Come si vede, il testo è così strettamente correlato ai precedenti che se ne è supposta una fonte comune, ignota, anteriore almeno al VI secolo.

Comune a tutte le leggende del ciclo siriaco è il riferimento alle scritture di Seth. Seth era il terzo figlio di Adamo, cui l'antichità ebraica, e non solo, attribuiva l'invenzione della scienza astrologica. Per questo Seth veniva facilmente identificato con Zoroastro. Altro elemento comune a questi testi è l'importanza straordinaria che assume la montagna, come luogo in cui i magi rinvengono i doni nascosti da Adamo e in cui il Cristo si manifesta loro sotto forma di stella o di colonna di luce. Nella tradizione iranica, infatti, la montagna è il luogo privilegiato per le preghiere e i sacrifici rivolti agli dei.

Il Medioevo e le Sacre Rappresentazioni

La Chiesa dei primi secoli trova ardua concorrenza nelle religioni misteriche e soteriche a lei affini come il mithraismo ed è impegnata in un confronto con la cultura gnostica; per questo il testo di Matteo poteva anche risultare imbarazzante: i primi a inchinarsi davanti a Gesù erano dei pagani, scrutatori di stelle, necromanti. La Chiesa denuncia il carattere demoniaco della scienza dei magi; negli Atti degli Apostoli si narra di una disputa avvenuta tra l'apostolo Pietro e un tal Simone il Mago, mettendo in evidenza la ciarlataneria e la dubbia moralità di quest'ultimo. L'occidente medievale cristiano arriva a misconoscere del tutto la vera origine dei magi; la reticenza ad identificarli con i maghi porta persino a coniare un improbabile “magio” per il singolare. Pur se l'indicazione evangelica obbligava a impiegare ancora l'ingombrante nome di “magi”, le Sacre Scritture fornirono la soluzione:

I re di Tharsis e delle isole porteranno doni,

i re degli arabi e di Saba offriranno tributi;

a lui tutti i re si prostreranno

lo serviranno tutte le nazioni

L'identificazione dei magi con dei re rafforza l'idea del Cristo come Rex regum, rispecchiando e consolidando l'enfasi posta sulla funzione regale tra l'VIII e il X secolo (Carlo Magno - Ottone III). In Germania, dove, a Colonia, si trovano le reliquie dei magi, essi sono detti, nel linguaggio comune, semplicemente “re”. Nel Tre-Cinquecento si arrivò persino ad attribuir loro delle insegne araldiche, ispirate al mondo orientale e saraceno o ad elementi tipici del viaggio, come la stella.

La storia dei magi si connette, nell'alto Medioevo con l'usanza di arricchire le celebrazioni liturgiche, specie quelle che si tenevano nei ludi annuali, con vere e proprie rappresentazioni a cui partecipavano professionisti (mimi, giocolieri ecc.), popolani e gli stessi sacerdoti. Di queste Sacre Rappresentazioni ci sono pervenuti una ventina di Officia liturgici che venivano rappresentati durante le feste dell'Epifania, dedicati all'adorazione dei magi.

In queste rappresentazioni i magi sono definitivamente tre; il tre è un numero cardine della cristianità e ai magi possono essere attribuiti numerosi simboli. Intanto essi vengono fatti arrivare da tre paesi diversi; essi divengono così i rappresentanti delle tre razze umane, discendenti dai figli di Noè: a Sem l'Asia, a Japhet l'Europa, a Cam l'Africa; i magi acquistano quindi le fisionomie dei loro paesi d'origine. Grande importanza nelle rappresentazioni è data al momento dell'incontro, in cui i magi si riconoscono, si abbracciano e proseguono uniti il cammino loro indicato dalla stella (spesso una cometa). Ai Magi vengono inoltre attribuite età diverse; tre sono infatti le età dell'uomo: giovinezza, maturità, vecchiaia. Anche ai doni recati dai Magi viene attribuita una simbologia; Leone Magno chiarifica che l'oro è offerto al Cristo in quanto re, l'incenso in quanto Dio e la mirra in quanto mortale.

Le grandi leggende

Nel tardo Medioevo la leggenda dei Magi si va definitivamente fissando attraverso alcune grandi narrazioni che sarebbero state diffuse e volgarizzate in tutta Europa: sono le pagine di Marco Polo, di Jacopo da Varagine e di Giovanni di Hildesheim.

Nelle memorie del suo straordinario viaggio trascritte dal pisano Rustichello, Marco Polo racconta di aver trovato le spoglie dei magi, perfettamente conservate, nella città di Saba; in seguito, presso il «castello degli adoratori del fuoco» egli riceverà spiegazioni sul loro conto. Gli uomini del castello raccontano a Marco che anticamente tre re di quelle contrade erano andati ad adorare un profeta appena nato, portando le loro offerte: oro, incenso e mirra. Egli apparve a ognuno dei tre uomini, entrati separatamente, «di sua forma e di suo tempo». Rientrati tutti insieme, i magi videro un fanciullo di pochi giorni e gli lasciarono i loro doni. Il bimbo, in cambio, dette loro un bossolo chiuso e i magi ripartirono. Dopo qualche giorno essi aprirono il bossolo e, meravigliati di trovarvi solo una pietra, la gettarono in un pozzo. In quel momento dal cielo discese un fuoco e il pozzo iniziò ad ardere. Pentiti del loro gesto, i magi presero un po' di quel fuoco sacro e lo posero in una chiesa. Per questo gli abitanti di quelle contrade hanno continuato ad adorare il fuoco. Nel suo racconto Marco accoglie dunque le suggestioni delle leggende orientali più propriamente legate alla tradizione zoroastriana: il culto del fuoco e l'idea del Cristo come signore del tempo, legata al carattere zurvanita della scienza dei magi.

Nel 1298, anno in cui Marco Polo dettava le sue memorie a Rustichello, suo compagno di cella nelle prigioni genovesi, vescovo della città ligure era Jacopo da Varagine, appartenente all'ordine dei domenicani. Nella sua Leggenda Aurea egli cerca di mettere ordine tra le varie tesi discordanti a proposito dei nomi e della provenienza dei magi, della natura e della qualità della stella, del significato dei doni. Secondo Jacopo i magi provenivano da un'area di confine tra la Persia e la Caldea; essi erano tre saggi ma anche re e successori di Balaam, di cui Jacopo ricorda la profezia; i loro nomi greci sono Caspar, Balthasar e Melchior. Essi arrivarono al cospetto di Gesù quando egli aveva tredici giorni, guidati da una stella. Pur riportando anche altre versioni della leggenda, Jacopo informa di preferire quella per cui la stella è di una natura originale, poiché creata da Dio proprio per questa occasione; per questo essa splende più luminosa di tutte le altre e non segue un'orbita regolare.

La dotta esposizione di Jacopo esprime una preoccupazione pastorale, oltre che teologica e intellettuale; la devozione ai magi era infatti un connotato ormai irrinunciabile nella vita liturgica e spirituale del popolo cristiano ma era molto difficile orientarsi nella selva di simboli che l'episodio chiamava in causa e nella discussione esegetica che esso aveva provocato sin dai primi tempi della Chiesa. Inoltre la fantasia dei committenti, degli artisti, degli organizzatori di drammi liturgici arricchiva il racconto di sempre nuovi particolari. Per questo egli fu molto attento a inserire nel suo racconto molti degli elementi tratti dalle varie leggende (come i dodici sapienti che si riuniscono ogni anno sul Mons Victorialis) e soprattutto a interpretarne i simboli. Ad esempio dei doni offerti al Salvatore Jacopo dà ben cinque interpretazioni: oltre a quella consueta (oro al Re, incenso al Dio e mirra al mortale), egli ne dà una più realistica (tratta da Bernardo): l'oro per la povertà di Maria, l'incenso per il cattivo odore della stalla, la mirra per rafforzare gli arti del Bambino; ma vi è anche una interpretazione etico-allegorica (l'oro è amore, l'incenso preghiera e la mirra mortificazione fisica, tre cose che i fedeli debbono offrire al Signore) e una cristologica in cui i doni sono proprietà di Gesù: la divinità preziosa come l'oro, l'anima devota come l'incenso, la carne incorruttibile come la mirra.

La Leggenda Aurea circolava già da tempo per la Cristianità latina quando, presumibilmente tra il 1364 e il 1375, il frate carmelitano tedesco Giovanni da Hildesheim redasse un'operetta destinata a grande risonanza: la Historia trigum regum. Giovanni usa le stesse fonti esegetiche di Jacopo, lasciando da parte i motivi più propriamente zoroastriani della storia dei magi di cui si era fatto portatore Marco Polo. Egli apre la sua narrazione sul Monte Vaus o Vittoriale, su cui, dopo una lunga attesa di generazioni, appare una stella lucente come il sole e fornita di lunghissimi raggi che roteano per l'aria. Giovanni occulta quasi completamente il ruolo di sapienti dei tre magi: essi sono tre re che, informati dai loro astrologi dell'apparire della stella, si mettono in cammino dai loro tre regni, ognuno con il suo seguito. Giunti a Gerusalemme in tredici giorni, essi perdono di vista la stella a causa di una fitta nebbia; al levarsi della nebbia essi si incontrano, si riconoscono, entrano in Gerusalemme, conferiscono con Erode, quindi incontrano i pastori che avevano conosciuto sotto forma di angelo quella che per i magi era la stella e infine arrivano a Betlemme e offrono i loro doni.

Sui doni Giovanni apre una cospicua digressione: i tre re hanno portato con sé doni molteplici e ornamenti di gran pregio, attinti addirittura dai tesori di Alessandro il Macedone e della regina di Saba. Ma quando scendono dai loro dromedari sono un po' intimoriti e prendono quello che si trovano sottomano: Melchiar porta trenta danaro d'oro e un pomo aureo appartenuto ad Alessandro (il globo imperiale simbolo del potere del mondo); Balthasar offre l'incenso e il negro Jaspar, piangendo, la mirra. Ma appena viene toccato dal Bambinello, il pomo di Alessandro si riduce in polvere: simbolo del potere terreno vanificato da quello divino. Il viaggio di ritorno apre un'ulteriore fase romanzesca; l'angelo impone infatti ai tre re di tornare da strade diverse da quelle dell'andata, inseguiti da Erode. La fine del viaggio (durato due anni) vede i tre riuniti insieme sul monte Vaus a erigere una cappella in onore del re dei Giudei. Il romanzo di Giovanni prosegue poi con l'apostolato di Tommaso in India, l'ordinamento dei tre magi come vescovi e con le vicende delle varie traslazioni delle loro salme fino all'arrivo a Colonia.

Il culto dei magi continuò ad essere praticato anche nel Rinascimento. A Firenze i Medici istituirono una vera e propria “Compagnia dei Magi” che aveva il compito di preparare ogni anno una processione-spettacolo dei tre re attraverso la città. Gli umanisti dibattevano sulla natura dell'astro apparso ai magi ed essi tornavano ad essere dei sapienti in grado di interpretare i segni divini.

A livello folklorico i magi hanno conosciuto una fortuna che non accenna a declinare attraverso i presepi, le molte processioni che si celebrano un po' in tutta Europa, le “befanate” che girano ancora per le campagne e i centri minori in Italia, le molteplici tradizioni che percorrono il nostro continente dalla Germania alla Provenza e che, per il tramite spagnolo, giungono in America Latina.

Il racconto di Camminacammina

Nella prima metà del 1979 Olmi scrisse, da solo, la sceneggiatura, lasciandosi stimolare dagli episodi narrati nelle leggende; Camminacammina accoglie molti elementi tratti dalla tradizione e molti altri scaturiti dalla fantasia di Olmi, sulla traccia dell'idea di fondo: quella che i magi siano intellettuali in collusione col potere.

Si racconta di un sacerdote, Mel, che ogni notte scruta le stelle dal suo osservatorio sul monte, insieme al suo assistente, il giovanissimo Rupo. Una notte un astro miracoloso illumina il cielo: è il segnale di un grande prodigio. Mel si mette in viaggio, seguito da Rupo e da un folto gruppo di pellegrini desiderosi di arrivare dal “re dei re”, dal Salvatore del mondo. Il viaggio, denso di difficoltà ma anche di storie quotidiane, private, dura diversi giorni. Un mattino, al levarsi delle nebbie, i pellegrini scoprono di non essere soli: davanti a loro vi sono accampate altre due carovane, anch'esse guidate da una stella e da un sacerdote che ne interpreta il corso. Insieme proseguono il cammino, visitando prima il governatore della città imperiale e infine arrivando a una povera famiglia con un bimbo appena nato. I sacerdoti lo venerano come Salvatore e promettono di tornare l'indomani. Avvertiti da una visione, però, i sacerdoti decidono di fuggire nella notte, distruggendo ogni prova della loro visita al Bambino. L'unico personaggio che tornerà indietro non potrà che constatare l'avvenuta strage.

L'antipatia provata da Olmi bambino prende consistenza: i suoi re magi sono uomini pavidi che, pur essendo stati chiamati presso il Salvatore non riescono a rimanere al suo fianco e lo abbandonano alla furia di Erode, inventandosi la scusa dell'angelo visto in sogno.

E' molto importante, per capire la mia storia, la scena finale, quando i magi nascondono i doni di Giuseppe e Maria: quando si seppellisce una verità, in qualche angolo del mondo avviene una strage.